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venerdì 16 luglio 2010

Il lager dei detenuti psichiatrici

Barcellona Pozzo di Gotto:

legati ai letti e sedati, la struttura ferma all'Ottocento

FABIO ALBANESE La stampa .it

BARCELLONA POZZO DI GOTTO (ME)

A vederlo da fuori, con la sua struttura liberty di inizio Novecento, non sembra quella specie di lager che invece descrive la Commissione parlamentare d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale. Eppure, l’ospedale psichiatrico giudiziario (opg) di Barcellona Pozzo di Gotto, provincia di Messina, uno dei sei presenti in Italia, ha conosciuto momenti migliori e anzi per molti anni è stato punto di riferimento tra quelli che una volta si chiamavano manicomi giudiziari.

Ieri il senatore Ignazio Marino, presidente della Commissione parlamentare, in una conferezna stampa tenuta a Roma ha detto che a Barcellona c’è la situazione peggiore: «Lì i detenuti vengono tenuti legati ai letti, con un buco per la caduta degli escrementi, le celle sono luride e affollate, gli internati sono seminudi e sudati a causa della temperatura torrida, sotto effetto di psicofarmaci, i servizi igienici sono indescrivibili, ci sono contenzioni in atto adottate con metodiche inaccettabili e non refertate». Un lungo elenco di «scene ottocentesche», come le ha definite Marino, che il direttore della struttura, Nunziante Rosanìa, conosce bene e che lui stesso si era premurato di mostrare alla commissione, l’11 giugno scorso: «Ci hanno chiesto di vedere la sezione peggiore, quella che aveva più problemi e quella, la numero 2, abbiamo loro mostrato - dice - ma tutta la struttura è ormai al collasso, abbiamo 340-350 ricoverati contro i 180 che può contenere, nelle stanze stanno in otto, nove, quando dovrebbero essere solo in quattro, il personale non è sufficiente, come i budget a disposizione per le terapie, dimezzato negli ultimi sette anni».

La struttura di Barcellona, che risale al 1925, la prima in Italia, ospita detenuti con problemi psichici che arrivano da tutta la Sicilia e dalla Calabria. «Ma a differenza delle altre strutture, noi siamo rimasti in mezzo al guado - dice Rosanìa - perché non è stato ancora recepito dalla Regione Siciliana il decreto della Presidenza del Consiglio del 2008 con cui la gestione di queste strutture deve passare dal Ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale. Dunque, apparteniamo ancora al pianeta carceri e soffriamo di tutte le carenze e le difficoltà che ci sono oggi nelle carceri italiane, con in più la particolarità di essere una struttura che deve seguire i reclusi anche e soprattutto dal punto di vista sanitario. Purtroppo non abbiamo ancora un’organizzazione ospedaliera ma penitenziaria».

La sezione 2, quella visitata dal senatore Marino e dagli altri commissari, secondo quanto ha rivelato lo stesso direttore Rosanìa, sta per essere chiusa: «D’intesa con l’amministrazione penitenziaria abbiamo avviato già da mesi il piano per la completa ristrutturazione - chiarisce - al suo posto utilizzeremo una sezione che era destinata alla donne ma che non è mai entrata in funzione. D’altronde, la vicenda di Barcellona è contemplata all’interno del piano carceri varato dal governo e speriamo che nei prossimi mesi la situazione migliori».

Restano quei letti di contenzione che fanno pensare ai manicomi pre riforma Basaglia. A Barcellona la commissione presieduta da Marino ha trovato un detenuto legato ad uno di questi letti, peraltro arrugginito: «Era scarsamente sedato - ha raccontato il senatore Michele Saccomanno agli altri commissari, dopo l’ispezione compiuta assieme ai carabinieri del Nas - perché in grado di rispondere, coperto da un lenzuolo ma completamente nudo, con polsi e caviglie strettamente legati agli assi metallici del letto».

«Quei letti ci sono in tutte le strutture psichiatriche - spiega Rosanìa - e non solo negli opg; qui quando arrivai, alla fine degli anni ’80, ce n’erano ventiquattro, ora ce ne sono soltanto due. Ma bisogna rendersi conto che si tratta comunque di atti medici che rientrano nei cosiddetti trattamenti sanitari obbligatori. Solo che per gestirli al meglio occorrerebbero strutture piccole affidate a personale altamente qualificato».

Il problema del sovraffollamento si è aggravato da quando a Barcellona Pozzo di Gotto sono arrivati detenuti di altri ospedali psichiatrici giudiziari, trasferiti perché lì si stanno facendo lavori di ristrutturazione. «Il problema è strettamente di natura politica -avverte il direttore dell’opg di Barcellona- altre commissioni sono venute in passato, abbiamo più volte denunciato problemi e carenze. E questa è oggi la situazione».

giovedì 15 luglio 2010

ITALIA. Indagine sull’alcol

ILSOLE24ORE.COM

di Claudio Tucci

3 MARZO 2010

Un italiano su 10 esagera nel consumo di alcol e sono oltre 9 milioni (il 15,9% della popolazione) i bevitori "a rischio". Il primo "bicchierino" si manda giù prestissimo, a poco più di 12 anni, contro una media europea, di 14,6 anni e il 17,6% di ragazzi, tra gli 11 e i 15 anni, circa mezzo milione, consuma abitualmente bevande alcoliche, in un'età al di sotto di quella legale e per la quale il consumo consigliato di alcol è pari a zero. A finire sotto accusa sono soprattutto le nuove mode del bere, importate dall'estero, come il binge drinking, consumi occasionali di alcol ad alta intensità, che interessa un italiano su 3, almeno una volta a settimana. È questa la fotografia sul consumo di alcol nel Belpaese, scattata dal ministero della Salute, nella sua relazione annuale, relativa al 2007-2008, trasmessa ai presidenti di Camera e Senato, a metà gennaio. «La bassa età del primo contatto con le bevande alcoliche - ha sottolineato il ministro della Salute Ferruccio Fazio - è l'aspetto di maggiore debolezza del nostro Paese nel confronto con l'Europa e su cui bisogna agire subito e in fretta, soprattutto in termini di prevenzione».

Rispetto ad altri Paesi, evidenzia la relazione, l'Italia presenta una minore prevalenza di consumatori di bevande alcoliche e una minore diffusione del binge drinking. Tuttavia, fra coloro che consumano alcol, ben il 26% lo fa quotidianamente (il doppio della media europea), il 14% lo fa da 4 a 5 volte a settimana (valore più alto in Europa) e il 34% pratica il binge drinking almeno una volta a settimana (contro il 28% della media europea). Cresce poi nel tempo la prevalenza delle donne consumatrici e nei ricoveri ospedalieri risulta in aumento la percentuale di diagnosi ospedaliere per cirrosi epatica alcolica in rapporto alle altre diagnosi (+ 6,5 punti percentuali dal 2000 al 2006). Nel 2008, si sono contati inoltre circa 60mila alcol-dipendenti, con una spesa complessiva (convenzionata e non) pari a circa 4,4 milioni, più o meno in linea con quella sostenuta nel 2007.

Lo studio focalizza poi l'attenzione sui giovani. A rischio è soprattutto il consumo di alcol fuori pasto, che ha riguardato, nel 2008, il 31,7% dei maschi e il 21,3% delle femmine di età compresa fra gli 11 e i 24 anni. Nella stessa fascia di età, il 13,2% dei maschi e il 4,4% delle femmine ha praticato il binge drinking. Spicca poi come tra i 14 e i 17 anni la "bevuta fuori pasto" abbia conosciuto, dal 1995 al 2008, un vero e proprio boom, passando dal 12,9 al 22,7% tra i maschi e addirittura dal 6 al 14,4% tra le femmine. E i giovani al di sotto dei 30 anni rappresentano ormai il 10% degli utenti in trattamento nei servizi alcologici territoriali del Ssn. Dati che si riflettono sui numeri (tragici) degli incidenti stradali: 29.672 feriti di 30-34 anni e 432 morti di 25-29 anni nel 2007, e l'ebbrezza da alcol ha rappresentato, sempre nel 2007, il 2,09 % del totale di tutte le cause di incidente stradale rilevate.

Il problema, ha spiegato al Sole24Ore.com, Emanuele Scafato, direttore dell'Osservatorio nazionale alcol dell'Istituto superiore di sanità, è che ormai l'alcol per i ragazzi è diventato una sorta di "lubrificante sociale", nonostante studi scientifici internazionali, lo annoverino tra le cinque sostanze più dannose per l'organismo, al pari di droga e oppiacei. Scafato punta il dito soprattutto sull'eccessiva "disponibilità" dei prodotti alcolici, causati anche da politiche di marketing sfrenato. Una realtà fotografata dalla sproporzione negli investimenti in prevenzione e salute. «In Italia - ha ricordato - vengono spesi ben 169 milioni per pubblicizzare prodotti legati al bere e appena un milione (lo stanziamento previsto dalla legge 125 del 2001, ndr) per la prevenzione dei rischi legati all'alcol».

Antologia del disagio a cura di Costantino Liquori